21 giugno 2017
Il Consiglio di Stato, respingendo il ricorso della Regione Lombardia,
ha detto sì al risarcimento a Beppino Englaro. La Regione non si fece
carico del ricovero di Eluana, in stato vegetativo per 17 anni, in una
struttura sanitaria adeguata per la sospensione dell'alimentazione e
dell'idratazione come richiesto dal padre. Per questo Eluana fu poi
trasferita dalla casa di cura di Lecco alla casa di riposo la Quiete di
Udine dove morì il 9 febbraio 2009.
Diritto a rifiutare le cure
A Beppino Englaro la Regione dovrà risarcire quasi 133.000 euro. Dopo
il "diritto a rifiutare le cure" riconosciuto dalla Cassazione e dalla
Corte d'appello di Milano, la Regione Lombardia, si legge nella sentenza
del Consiglio di Stato, "era tenuta" a fornire ad Eluana Englaro "la
propria prestazione sanitaria, anche se in modo diverso rispetto al
passato, dando doverosa attuazione alla volontà espressa dalla stessa
persona assistita, nell'esercizio del proprio diritto fondamentale
all'autodeterminazione terapeutica".
"Ingiustificato atteggiamento oppositivo"
I giudici di Palazzo Spada, a differenza del Tar Lombardia, non
ritengono "dolosa" la condotta della Regione, la quale però "ha
colposamente rifiutato di prestare la propria collaborazione
all'esecuzione del provvedimento della Corte d'appello" che dava il via
libera all'interruzione dei trattamenti sanitari, "manifestando un
ingiustificato atteggiamento oppositivo, idoneo ad ostacolare
l'attuazione della situazione coperta da giudicato" senza tenere conto
che "il suo compito non potesse che essere quello di individuare la
specifica struttura sanitaria". Il risarcimento riconosciuto a Beppino
Englaro riguarda anche le spese di piantonamento fisso della struttura
dove Eluana venne ricoverata in Friuli, in cui morì, per far fronte alla
"presenza di telecamere e giornalisti", ai "sit-in sotto la clinica"
alla possibile presenza di "facinorosi", con il "conseguente rischio di
lesione del diritto al rispetto della dignità umana".
Eluana in primo piano
I giudici mettono in primo piano Eluana Englaro, che ha "subito" in
questa vicenda il "danno più grave", la "violazione del proprio diritto
all'autodeterminazione in materia di cure" per cui "contro la sua
volonta'" ha subito "il non voluto prolungamento della sua condizione,
essendo stata calpestata la sua determinazione di rifiutare una
condizione di vita ritenuta non dignitosa, in base alla libera
valutazione da essa compiuta".
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